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19.5.06

Vertice di Vienna, un'occasione persa 15/5/06

di Adalberto Belfiore

Le relazioni tra Ue e America latina fanno pochi passi in avanti. Soprattutto dal punto di vista commerciale, dove l'Europa continua a sostenere un libero scambio incompatibile con la politiche della nuova sinistra latinoamericana.
Il vertice tra Unione europea, America latina e Caraibi si è concluso sabato a Vienna con risultati molto modesti, se si prescinde dalle solite dichiarazioni di principio e dall’accordo su temi non economici come la lotta alla droga e al terrorismo. Se l’obbiettivo dichiarato del era la costruzione di relazioni commerciali e politiche più solide, di concreto si registra solo l’inizio di un processo di negoziazione con i piccoli stati centroamericani, in vista di un possibile ma ancora lontano trattato di associazione, e un documento finale che avvalla i preliminari di un possibile accordo commerciale con la Comunità andina (Can). Prospettiva, questa, resa possibile dall’uscita dalla Can del Venezuela di Hugo Chavez in polemica con i trattati bilaterali firmati da Perù e Colombia con gli Stati uniti. E al tempo stesso soggetta all’incertezza sulle decisioni della Bolivia di Evo Morales, che pur avendo sottoscritto il documento, potrebbe anche decidere di seguire i passi dell’amico venezuelano e determinare il definitivo collasso dell’organizzazione andina. Non è molto per un vertice giunto alla sua quarta edizione, dopo quelle di Rio (1999), Madrid (2002) e Guadalajara (2004). Specialmente se si considera anche lo stallo dei negoziati con il Mercosur, il principale blocco economico latinoamericano. Iniziati nel 1999 con l’obbiettivo di arrivare ad un trattato di associazione con l’Unione, i negoziati non hanno registrato nessun progresso neppure a Vienna, anche per le contraddizioni interne allo stesso Mercosur tra i piccoli, Uruguay e Paraguay, e i grandi, Brasile ed Argentina. Contraddizioni che hanno raggiunto l’apice con lo scontro tra Buenos Aires e Montevideo sulla questione delle cartiere costruite da due multinazionali europee, Botnia e Ence, sul fiume Uruguay. Una controversia che i due presidenti Kirchner e Tabaré Vasquez, entrambi di orientamento progressista, non hanno saputo dirimere e che ora l’Argentina ha portato davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia. Il vertice, dunque, ha probabilmente rappresentato più che altro un’occasione perduta. L’Unione europea stanzia fondi consistenti, 500 milioni di euro all’anno, per appoggiare lo sviluppo e i processi di integrazione in Sudamerica, cosa che la potrebbe differenziare in modo decisivo sia dalla politica egemonica di Washington che dalla penetrazione commerciale della Cina. E rafforzare il grande prestigio di cui ancora gode sia per i singoli stati nazionali che come entità soprannazionale. Ufficialmente, le priorità della politica di cooperazione dell’Ue sono proprio “la coesione sociale e l’integrazione regionale”, come ricorda Ramòn Cardeza, direttore della Cooperazione con l’America latina della Commissione Europea. L’Ue potrebbe dunque essere un punto di riferimento insostituibile per i processi, ancora deboli e contraddittori, che vanno verso la costruzione di una possibile unità politica del subcontinente, dal cui rafforzamento, con la maggiore stabilità e sviluppo che comporterebbero, avrebbe molto da guadagnare anche in termini di una più decisa autonomia da Washington. Ma a dispetto delle dichiarazioni di principio sulla pace e lo sviluppo equo e sostenibile per i paesi del Sud, sul piano strategico l’Ue resta all’interno della tradizionale impostazione riferibile alle teorie e alle pratiche del neoliberismo. Molti sostengono, come afferma il politologo tedesco Stephen Schmalz dell’Università di Marburgo, che “la strategia globale dell’Unione europea per l’America latina consiste nel forzare con le varie regioni del continente numerosi accordi di libero commercio favorevoli alle multinazionali europee e questi accordi, ricalcati su quelli del Trattato di libero commercio tra Canada, Usa e Messico (Nafta), impongono agli stati limitazioni a legiferare in materia di tutela ambientale e diritti dei lavoratori”. Il ruolo centrale assegnato dalla Ue alle compagnie transnazionali si è palesato nel Forum economico organizzato a latere dal ministero dell’Economia e dalla Camera di commercio austriaci, dove più di 300 alti funzionari e dirigenti di grandi compagnie, in larga prevalenza europee, hanno discusso le opportunità di sviluppo in America latina e invitato i governi ad avanzare rapidamente sulla via degli accordi di libero scambio. Dimenticando forse che il principale ostacolo su questa via è proprio il rifiuto dell’Europa di fare concessioni sull’accesso ai mercati europei dei prodotti agricoli eindustriali, dei paesi in via di sviluppo. Rifiuto sostanzialmente ribadito durante la sessione di Hong Kong dello scorso dicembre dell’Organizzazione mondiale del commercio. Ed è proprio questa strategia che secondo i rappresentanti delle centinaia di movimenti e organizzazioni riunite a Vienna nel controvertice “Intrecciando alternative 2” vanifica i contenuti sociali e di sviluppo sostenibile della politica europea. Posizione sostenuta con forza da Pedro Stedile del movimento brasiliano dei Sem Terra e membro del Tribunale permanente dei popoli: “I nostri 15 anni di esperienza delle politiche neoliberali del libero mercato ci hanno insegnato che il capitale multinazionale assume a suo vantaggio il controllo delle nostre risorse naturali, acqua terra, alberi e perfino delle nostre sementi”. Durante il controvertice il Tribunale dei popoli, composto da personalità indipendenti sul modello del Tribunale Russel che negli anni ‘70 giudicava in modo informale i crimini di guerra in Vietnam, ha analizzato l’operato di varie multinazionali europee tra cui la Aracruz (cellulosa), la Vion (alimentari), la Suez (acqua ed elettricità), la Andriz AG (cartiere), la Union Fenosa (elettricità), la Bp e la Repsol-Ypf (petrolio e gas) accusandole di gravissimi crimini contro l’ambiente e i diritti dei lavoratori. Al centro dell’attenzione sia del vertice ufficiale che di quello alternativo sono stati senza dubbio i due presidenti “radicali” Hugo Chavez ed Evo Morales, che incarnano in America latina la tendenza ad un maggior controllo statale sull’economia e sulle risorse energetiche, in aperto contrasto con le posizioni di altri stati tra cui il Messico di Vicente Fox, il Perù de presidente uscente Alejandro Toledo e anche il Cile di Micelle Bachelet, che perseguono apertamente la politica dei trattati bilaterali, sostenendo che non sono incompatibili con l’integrazione continentale. Proprio l’impostazione più statalista di Venezuela e Bolivia, e in particolare il tema della nazionalizzazione del gas decretata il primo maggio scorso da Morales, è stata oggetto durante il vertice di critiche ed ammonimenti più o meno espliciti da parte dei leader europei. Tony Blair ha invocato un “uso responsabile delle risorse energetiche”, mentre il cancelliere austriaco Wolfgang Schuessel ha affermato che “l’esperienza dimostra che le società con mercati liberi ottengono migliori risultati”. Affermazioni condivise da Martin Bartenstein, ministro austriaco dell’economia e attuale presidente del Consigli dei ministri dell’economia dell’Ue, che ha indicato come “modello da seguire i trattati di associazione economica, concertazione politica e cooperazione sottoscritti nel 2000 tra Ue e Messico e Cile”. Nulla di più lontano da quanto sostengono Chavez e Morales, che dalla tribuna del controvertice hanno proposto “un modello alternativo di commercio tra i popoli basato su reti di solidarietà che faccia a meno dei prestiti di Stati uniti ed Europa”. In piena sintonia con il documento finale dell’assise alternativa, che respinge la privatizzazione dei servizi e delle risorse naturali a favore delle multinazionali. Lo stesso presidente della Commissione europea Manuel Barroso si è sentito in dovere di accusare di populismo queste posizioni, seppur senza nominare i due presidenti. “Il populismo è una minaccia ai nostri valori” ha detto Barroso “ una semplificazione abusiva di problemi complessi, un appello a sentimenti negativi contrari allo stato di diritto e ai valori democratici”.Può anche essere che Barroso abbia ragione, ma le sue parole forse sono difficili da capire per milioni di latinoamericani che, anche se seduti sopra immense risorse naturali, vivono ancora oggi in condizioni di estrema povertà che la rilevante presenza europea non ha contribuito molto ad alleviare.