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27.7.06

Cina: crolla il vantaggio offerto dal cotone Bt

A sette anni dall’introduzione della coltivazione su vasta scala di cotone geneticamente modificato, i vantaggi economici garantiti ai coltivatori cinesi dal suo uso sono svaniti. Il motivo – come hanno riferito i ricercatori della Cornell University alla conferenza annuale della American Agricultural Economics Association (AAEA) in corso in questi giorni a Long Beach, in California – è che nuovi parassiti stanno aggredendo in maniera massiccia le coltivazioni di cotone Bt. Il cotone Bt deve il suo nome al gene mutuato dal Bacillus thuringiensis inserito nel vegetale per fargli produrre una tossina letale per le larve di Helicoverpa armigera, un lepidottero nottuide che rappresenta uno dei più importanti parassiti del cotone. Attualmente il cotone Bt copre il 25 per cento della produzione mondiale di questa fibra tessile. Dopo sette anni, però, le popolazioni di altri parassiti sono aumentate in misura tale da costringere i coltivatori a irrorare i campi con pesticidi un numero di volte molto maggiore anche rispetto agli standard precedenti all’introduzione del cotone Bt. Lo studio – il primo che ha esaminato l’impatto economico a lungo termine del cotone Bt – ha mostrato che per tre anni a partire dal 2001 i coltivatori che avevano utilizzato il cotone biotecnologico avevano ridotto di oltre il 70 per cento i consumi di pesticidi, conseguendo un guadagno del 36 per cento superiore a quello dei contadini che erano rimasti al cotone classico. A partire dal 2004, tuttavia, erano stati costretti a tornare a un livello di consumo di pesticidi pari a quello delle coltivazioni tradizionali, con un guadagno inferiore dell’8 per cento rispetto ai concorrenti tradizionali, a causa del maggior costo delle sementi Bt. Il problema non è legato allo sviluppo di parassiti resistenti al cotone Bt, come all’inizio si era pensato, ma ad altri parassiti che non sono sensibili alla tossina di B. thuringiensis, e che in precedenza erano tenuti sotto controllo dall’uso dei pesticidi ad ampio spettro d’azione. Secondo i ricercatori l’emergenza di questi parassiti “secondari” potrebbe rappresentare un grave problema per tutti i paesi che utilizzano cotone Bt su larga scala: Cina, India, Argentina e Stati Uniti, anche se in quest’ultimo paese, i produttori che usano cotone Bt sono per contratto vincolati a coltivare un’area ristretta anche a cotone tradizionale, che serva da rifugio per H. armigera e in cui utilizzare pesticidi classici. Una strategia utile a evitare l’insorgenza di mutanti resistenti al Bt, ma anche a ridurre la proliferazione degli altri parassiti.

25.7.06

La colonizzazione delle sementi transgeniche

da GreenPlanet.net
L'hanno definito progetto per la «biosicurezza» e riguarda alcuni paesi dell'Africa occidentale e dell'America latina. Ma ci sono buoni motivi per dubitare, se non altro perché tra i partners ci sono note organizzazioni legate all'industria biotech. Stiamo parlando dei due progetti promossi dalla Banca mondiale e dal Fondo globale per l'ambiente (Gef nell'acronimo inglese) gestito dalla medesima Banca. Scopo dichiarato è contribuire ad assicurare, in campo agricolo, protezione contro il pericolo di contaminazione tra semi originari e semi geneticamente manipolati - in base al protocollo di biosicurezza firmato a Cartagena nel 2000. L'impressione è che in realtà promuovano l'introduzione di coltivazioni ogm. I partners associati ai due progetti multimilionari sono: il Ciat (Centro internazionale di agricoltura tropicale, con sede in Colombia) e, manco a dirlo, tre note organizzazioni di promozione delle coltivazioni transgeniche legate a industrie biotecnologiche: Croplife, AfricaBio e Public Research and Regulation Initiative. Sotto la copertura di ricerca scientifica si tenta di legittimare la contaminazione di sementi che sono la base dell'economia contadina per creare, alla fine, dipendenza dalle varietà controllare dalle industrie. Il West Africa regional biosafety project riguarda Mali, Burkina Faso, Senegal e Togo, mentre obiettivo del Latin American multi-country capacity building in biosafety sono Brasile, Colombia, Costa Rica, Messico e Perù. Il progetto prevede l'introduzione di semi OGM di mais, patate, yucca, cotone e riso: eppure, escluso il riso, si tratta di varietà vegetali di cui quegli stessi paesi sono centri di origine e biodiversità. Comprensibile quindi l'allarme tra le organizzazioni della società civile locali, consapevoli che la contaminazione transgenica a cui si espongono le coltivazioni originarie, fondamentali per l'economia delle popolazioni rurali, è un rischio inaccettabile: una vera e propria minaccia alla sovranità alimentare e alla biodiversità di quei paesi.Tra i primi a partire all'attacco, con un'analisi congiunta sui rischi ambientali e sociali che i progetti rappresentano, ci sono: il Centro africano per la biosicurezza (Acb), la Rete per un'America latina libera dal transgenico (Rallt) e le organizzazioni ambientaliste internazionali Grain e Gruppo Etc. I progetti prevedono anche «corsi di formazione in biosicurezza» promossi dal Gef e dalla Banca mondiale. In pratica, ignorando le organizzazioni contadine e indigene contrarie a introdurre sul campo varietà ogm, le stesse vengono «inviate» a imparare i nuovi metodi scientifici studiati per contrastare il rischio contaminazione: «Una farsa di partecipazione pubblica il cui obiettivo reale è promuovere leggi di biosicurezza che favoriscano le industrie biotecnologiche» denuncia Eva Caranzo del Coordinamento biodiversità di Costa Rica. Nel caso africano si tratta di coltivazioni sperimentali mentre quello latinoamericano prevede appunto corsi di formazione per controllare la contaminazione tra OGM e piante originarie. Vien da chiedersi come faranno per impedire al vento di trasportare i pollini da una coltivazione all'altra; evidentemente, in entrambi i casi, i promotori dei progetti danno per scontato che gli OGM continueranno a essere introdotti, e che la contaminazione sarà inevitabile - i metodi scientifici per contrastarla sono fumo negli occhi. Silvia Ribeiro del Gruppo Etc ricorda la contaminazione transgenica del mais originario in Messico, dove non è stato fatto nulla per evitarla. Anzi, proprio una legge sulla biosicurezza votata dal governo messicano ha permesso di lasciare impunita la Monsanto e le altre imprese responsabili della contaminazione illegale, tanto che è stata ribattezzata «Legge Monsanto». Secondo Grain, i progetti in questione rispondono chiaramente a un processo che non prevede la partecipazione diretta delle nazioni coinvolte, ma che fa parte di una strategia della Bm e del governo Usa per «armonizzare» i regolamenti regionali sull'introduzione di OGM: stabilire regole favorevoli all'introduzione di ogm in paesi chiave e poi usarle come modello da imporre ad altri stati della regione attraverso organismi sovranazionali, così da bypassare qualsiasi dibattito democratico e aprire un grande mercato unico per le trasnazionali produttrici di sementi geneticamente modificate. Il disprezzo per l'opinione delle organizzazioni contadine ed indigene è evidente anche dal fatto che entrambi i progetti circolano solamente in inglese; non in francese, una delle lingue principali del continente africano, né in spagnolo o portoghese nel caso latinoamericano.

21.7.06

Agricoltura mediterranea – Prove di «complementarietà»

L'agricoltura dell'area mediterranea sta crescendo velocemente e pone da tempo problemi di mercato. La parola «magica» per affrontare questi nodi ed evitare che diventino tensioni è la «complementarietà». Accolta con non poche perplessità, ormai è ritenuta l'unica soluzione capace di impedire una rovinosa guerra commerciale tra le agricolture dei Paesi mediterranei. Frutta e ortaggi sono i prodotti tipici della regione ed il loro naturale mercato di sbocco sono i Paesi nordeuropei. Ma l'accesso, oltre ad essere reso difficoltoso da un intrico di norme doganali, sanitarie e commerciali, è controllato da importatori la cui forza contrattuale è di gran lunga superiore a quella dei produttori. In condizioni di inferiorità si trovano soprattutto i Paesi nordafricani e mediorientali, costretti sia a farsi concorrenza fra loro, sia a competere con i Paesi della riva europea, in particolare Spagna, Italia e Grecia. Già oggi pesante, la situazione minaccia di diventare esplosiva dal 2010, con l'istituzione della zona di libero scambio (Zls) prevista dalla Conferenza di Barcellona del 1995. In questa prospettiva, la complementarietà appare la sola alternativa alla competizione selvaggia. Realizzarla, però, non è semplice. Occorre organizzare l'attività produttiva affinché l'arrivo dei prodotti sul mercato sia scaglionato in tempi corrispondenti all'andamento della domanda, in modo da evitare che l'offerta si concentri nei medesimi periodi e, risultando eccessiva, provochi la caduta dei prezzi alla produzione. Non è sufficiente, però. Occorre anche che i prodotti abbiano caratteristiche corrispondenti agli standard internazionali sia di qualità, sia igienico sanitari, sia di presentazione commerciale. Emerge con evidenza, quindi, la necessità di un profondo ammodernamento dell'attività produttiva nei Paesi Terzi Mediterranei (Ptm), con l'adozione di metodi agronomici che consentano di valorizzare le tipicità, migliorare la qualità e garantire la salubrità dei prodotti grazie all'applicazione di tecniche di produzione integrata, cioè a basso impiego di fitofarmaci ed a basso impatto ambientale. Indispensabili appaiono sia la riorganizzazione dell'approvvigionamento dei mezzi di produzione (piante, sementi, concimi, fitofarmaci), sia l'organizzazione della gestione post raccolta (stoccaggio, condizionamento, calibratura, refrigerazione, imballaggio), sia la realizzazione dei marchi commerciali e di etichettature che assicurino la tracciabilità, cioè l'indicazione dei principali passaggi del prodotto, dal campo al banco di vendita. In pratica si tratta di allestire, per ogni prodotto, l'intera filiera. La collaborazione tra operatori privati è decisiva, ma potrà risultare efficace solo nell'ambito di accordi internazionali tra istituzioni politiche ed organismi associativi. Su questo terreno la Puglia è all'avanguardia, con due importanti progetti di cooperazione con l'Egitto, uno già in corso, l'altro pronto a partire. Nell'ambito del Corridoio Verde italo-egiziano, finanziato con la riconversione dei debito dell'Egitto verso l'Italia, è stato predisposto un progetto sperimentale che ha come protagonisti la Confcooperative di Puglia e l'ente egiziano che sta realizzando il programma di sviluppo rurale della Noubaria occidentale, un'area di 14mila ettari su cui sono stati costruiti 19 villaggi con una popolazione complessiva di 70mila abitanti. A fornire supervisione ed assistenza tecnica al progetto, che ha preso il via nel febbraio scorso e si concluderà entro il prossimo dicembre, sono l'Ambasciata d'Italia al Cairo e l'Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari del Ciheam. Finalità del progetto è la produzione in Noubaria di ortaggi e frutta che la Confcooperative di Puglia importerà in Italia e distribuirà sul mercato europeo. Gli accordi stipulati comprendono anche una stretta collaborazione tra i tecnici locali e quelli delle cooperative pugliesi partner. Il primo prodotto in arrivo è l'uva di varietà apirene (cioè senza semi), che sarà importata (e venduta in Europa) fino a quando non sarà pronta per il mercato l'uva da tavola italiana. Il secondo progetto è ancora più complesso ed impegnativo ed è stato promosso nell'ambito del Programma di sostegno alla Cooperazione Regionale con i Paesi della riva Sud del Mediterraneo e con quelli dei Balcani occidentali dalla Regione Puglia, che si propone come capofila di un gruppo di Regioni italiane dal Friuli Venezia Giulia alla Calabria, dal Veneto alla Campania, dall'Emilia Romagna alla Basilicata, dal Lazio alla Sicilia, dalla Toscana all'Abruzzo ed alla Sardegna. All'attuazione parteciperanno l'Iam di Bari, l'Università di Bari, l'Università di Foggia e le organizzazioni professionali. Partner egiziani saranno il Ministero dell'Agricoltura, il Ministero del Commercio Estero, l'Unità di implementazione dell'Accordo di Associazione ed i Governatorati dei territori nella zona del Delta del Nilo (Damietta ed Alessandria) scelti per la localizzazione degli interventi. L'attuazione richiederà due anni a partire dal 2007. Oltre all'importazione degli ortofrutticoli egiziani, è previsto il reclutamento in Egitto di manodopera stagionale per i lavori nei campi italiani. Il progetto, che è stato denominato «Attivazione di sistemi produttivi integrati tra l'Italia e l'Egitto», sarà presentato alla stampa italiana dall'assessore al Mediterraneo della Regione Puglia, Silvia Godelli, e dal vice ministro dell'Agricoltura egiziano, Hamdy Emara, che è anche direttore del Programma di sviluppo rurale della Noubaria occidentale. L'appuntamento con i giornalisti è stato fissato per il 29 giugno prossimo, alle ore 12, nella sede dell'Iam di Bari, a Valenzano.

Ogm Assobiotech chiede la coesistenza

Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente, risponde duramente alle dichiarazioni di Roberto Gradnik, presidente dell’Assobiotech (aderiente a Federchimica) che polemizzava sulle richieste di coltivatori ed ambientalisti italiani per aree Ogm free e difendeva la coesistenza tra agricoltura biotech e tradizionale che la Ue sembrerebbe voler avallare. «Il principio di precauzione e il riconoscimento dei diritti degli agricoltori che chiedono di continuare a praticare l’agricoltura di qualità e non contaminata non sono scappatoie – dice Della Seta – avallare la coesistenza a tutti i costi è una politica suicida, alla quale il nuovo governo deve opporsi. La posizione comunitaria sulla coesistenza rischia di favorire la contaminazione transgenica, compromettendo definitivamente il futuro dell´agricoltura europea e italiana fondato sulla qualità, che oggi rappresenta un patrimonio economico e di biodiversità inestimabile. Ricorrere poi al cavallo di Troia della bioenergia per aprire alle colture geneticamente modificate nel nostro Paese sarebbe un grave errore». 15 regioni e oltre 2300 i comuni italiani sono già Ogm free per difendere 153 prodotti a marchio Dop e Igp e 353 Doc e Docg. L’Italia è anche al primo posto in Europa per produzioni tipiche (4.100 i prodotti agroalimentari tradizionali), e per le produzioni biologiche con 1.162.212 ettari, il 7% della superficie agricola. «E’ assolutamente necessario – conclude Della Seta – che il nostro governo assuma invece un ruolo di primo piano per spronare la Commissione europea a introdurre una soglia di “contaminazione accidentale” dello 0,1%, cioè pari al livello di rilevabilità, sia per tutte le sementi, sia per le produzioni biologiche».

Pillole di sementi - LA GERMINABILITA' (4a parte)

La germinabilità della semente è variabile in funzione della specie e del tipo di imballaggio utilizzato:
- per imballaggi non a tenuta di umidità (sacchi in iuta, cotone, carta ecc.): 12 mesi (9 mesi per i cereali e i legumi; 6 mesi per le ortive);
- per imballaggi a tenuta di umidità (recipienti metallici, buste a chiusura ermetica ecc.): 30 mesi.
Il termine va calcolato dalla data riportata sul cartellino.
L' ENSE garantisce la qualità del materiale di cui verifica produzione e confezionamento
L'Ispettorato Centrale Repressione Frodi esegue controlli e prelievi presso le ditte selezionatrici, i commercianti all'ingrosso e al dettaglio, e presso gli agricoltori.