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28.4.06

Il ruolo delle imprese agroalimentari nell'agricoltura

Per vivere occorre mangiare. Si tratta di una affermazione che può apparire banale, tanto è ovvia. Ma è un punto di partenza fondamentale per ogni discorso sull'agricoltura. Se ogni essere umano ha il diritto di vivere, dobbiamo difendere il diritto al cibo e per farlo dobbiamo dire che non è possibile implementare il libero mercato in agricoltura perché devono poter mangiare anche coloro che non avendo denaro, sono fuori dal mercato. Inoltre la produzione agricola non è così prevedibile come quella dei prodotti industriali. La situazione metereologica, le malattie che colpiscono le coltivazioni e gli allevamenti influiscono in maniera imprevedibile sulla produzione; non si può produrre all' ordine, o come si dice "just in time". I prezzi cambiano velocemente sul mercato, ma non si possono cambiare patate in pomodori ed il numero dei raccolti annuali non è modificabile a seconda della richiesta, anche se è il sogno di molti. Tutto questo chiarisce che la "mano invisibile" appare visibilmente inefficace per instaurare "un sistema di scambi agricoli equo", tanto per citare uno degli obiettivi dell'Accordo sull' agricoltura WTO. Nell' analisi di questo accordo si parla sempre diati e di agricoltori. In questa breve analisi, svolta in riferimento al Vertice FAO del giugno 2002, ci soffermiamo su un terzo protagonista, quasi sempre trascurato: le imprese agroalimentari.
Il commercio dei prodotti agricoli
Il legame fra commercio e sicurezza alimentare è complesso. Banalmente il commercio dovrebbe servire ai paesi ad importare il cibo di cui non dispongono. Ma assume rilevanza perché il prezzo dei prodotti agricoli determinato dal mercato è quello che i coltivatori "subiscono" anche se non corrisponde ai loro costi produttivi e perché mentre i paesi del Nord sono paesi esportatori, quelli del Sud, sono i maggiori importatori, in particolare i Paesi meno sviluppati importano quasi il 30% del cibo che consumano. Inoltre l' accordo agricolo (in sede WTO) mira a garantire un maggiore accesso al mercato, stabilendo una percentuale minima di import per ogni prodotto agricolo, e ad agire sulle politiche nazionali di sostegno. Occorre considerare che da questo accordo ci si attendeva un aumento dei prezzi dei prodotti agricoli di base, le cosiddette commodities, ed un riequilibrio del mercato. Ma ciò non è accaduto, i rapporti di forza sono rimasti inalterati ed i Paesi in via di sviluppo (PVS) non hanno visto aumentare la loro quota di esportazioni. Leggendo l' AoA si è sempre soliti parlare di esportazioni americane e di vendite sottocosto Europee. Ma gli Stati sono direttamente coinvolti sul fronte del commercio solo se possiedono società che hanno il monopolio del commercio di determinate derrate, le cosiddette state-trading enterprises. Sfugge al dibattito che a comprare dagli agricoltori e commerciare sono società come Nestlé, Cargill e Carrefour. Gli Stati non competono fra loro, al massimo competono per ricevere gli investimenti di queste società.
I protagonisti del mercato sementiero
I problemi di reddito degli agricoltori sono sempre stati visti come una conseguenza del cronico sbilanciamento fra domanda ed offerta, come se il nocciolo del problema fosse costituito dalle ridotte dimensioni della torta da spartire fra gli agricoltori. Le politiche hanno ipotizzato varie soluzioni per aumentare il loro reddito: hanno tentato di ingrandire la torta attraverso i sussidi, di ridurre i contadini seduti al tavolo o di far si che i contadini potessero mangiare sulle tavole di altri Paesi (sussidi all' esportazione). Ma la situazione reale è che al tavolo non siedono solo i contadini, ci sono almeno tre sedie, una per loro, una per chi fornisce loro fertilizzanti, sementi, antiparassitari ecc. e una per chi compra i loro prodotti, li elabora e li fa arrivare sui banchi di vendita al dettaglio. Il problema è che le tre forchette per mangiare la torta non sono della stessa dimensione. Proviamo ad analizzare meglio questa affermazione. L' agricoltura non è solo campagne e fattorie dove gli agricoltori lavorano con i loro trattori. Essi comprano le sementi che piantano, talvolta lavorano terre in affitto, acquistano tutti i prodotti chimici necessari e tutte le apparecchiature per coltivare ed allevare bestiame. Vendono poi i loro raccolti e gli animali allevati a chi li commercia e li trasforma in cibo preconfezionato che noi consumatori acquistiamo nei negozi e nei supermercati. Come si vede, gli agricoltori sono un anello della catena, un anello debole, stretto fra chi fornisce loro mezzi e materiali per lavorare e chi acquista il frutto del loro lavoro.
In queste condizioni, come possono aumentare il loro reddito?
1) aumentando la resa delle coltivazioni
2) aumentando l' estensione delle coltivazioni
3) riducendo i costi
4) ottenendo sussidi dallo Stato (la via più praticata).
Ma queste soluzioni sono parziali, poiché non considerano globalmente il settore agroalimentare che vede l' industria di trasformazione e gli agricoltori accomunati dalla stessa ricerca di profitti, ma divisi nell' attuazione pratica di questo obiettivo. Agricoltori e società commerciali sono ad esempio sul fronte opposto relativamente a prodotti di base come il grano, il frumento e il cotone, prodotti per i quali non c' è una domanda al dettaglio essendo materia prima per l' industria di trasformazione. Sono loro a fare la domanda di mercato, i protagonisti che "stabiliscono" i prezzi; a loro va la fetta più grossa del prezzo finale di un prodotto alimentare. Nel 1995 l'USDA (il Dipartimento Americano dell' agricoltura), valutava che prendendo un cesto di prodotti agricoli, il 25% del prezzo è per i coltivatori, il resto è agribusiness. Per i prodotti da forno, questa percentuale è ridottissima, pari all' 8%. In un anno di raccolti eccezionali, sicuramente l' industria di trasformazione ottiene dei benefici perché l' offerta di materia prima è superiore alla richiesta, perciò maggiori profitti. Per l'agricoltore invece è un problema perché l'abbassamento dei prezzi riduce le entrate. Che fare? Di solito lo stato si muove per integrare il reddito dell' agricoltore cosicché possa pagare il suo "conto" ai suoi fornitori di sementi, fertilizzanti, diserbanti eccetera. I cittadini hanno così la sensazione di aver aiutato i poveri contadini, in realtà i contributi statali hanno sostenuto i loro fornitori e i maggiori guadagni dell'industria di trasformazione. Per questo il problema del reddito agricolo può essere meglio descritto come un problema di distribuzione del profitto all' interno del sistema.
La globalizzazione in agricoltura: integrazione orizzontale e verticale delle multinazionale agroalimentari
Così come in altri comparti, nel corso degli ultimi anni c' è stata una sequenza di acquisizioni che ha ridotto il numero delle compagnie sul mercato. Queste sono le maggiori compagnie che commerciavano cereali negli anni ' 80 e la concentrazione di mercato. Concentrazione di mercato: Frumento, mais e soia 6 società hanno l'85-90% Cargill, Continental, Louis Dreyfus, Bunge & Born, André, ToepferCaffè 6 società hanno l'85-90% Rothfos, ACLI (dall'83 acuisita da Cargill), J.Aron, Volkart, Socomex, ED&F ManZucchero 4 società hanno l'60-65% Sucden, Phibro, Tate & Lyle, ED&F ManBanane 3 società hanno l'80% United Brands, Castle&Cook, Del MonteCacao 3 società hanno l'80% Gill&Duffus, Berisford, SucdenTè 3 società hanno l'85% Unilever, Associated British Foods, Lyons-TetleyCotone 8 società hanno l'80% Cargill, Volkart, Mcfadden/Valmac, Dunavant, Tokyo Menka Kaisha, Sumitomo, Bunge & Born, Allenberg. Da allora la situazione è variata in direzione di una ulteriore concentrazione. Il 60% dei terminal per il trasporto di granaglie è di proprietà di quattro società: Cargill, Cenex Harvest satets, ADM e General Mills. L' 82% dei cereali esportati è diviso fra Cargill, ADM e Zen Noh.Anche il settore agrochimico presenta un' alta percentuale di concentrazione. Le prime due compagnie (Syngenta e Pharmacia), controllano il 34% del mercato; le prime quattro ben il 56%. Il settore "Food & beverage", dal giugno 200 al giugno 2001, ha visto acquisizioni ed accorpamenti per un valore di 69,2 miliardi di dollari, superiore al valore totale delle "unioni" dei cinque anni precedenti. Le prime cinque società del settore sono: Nestlé (Svizzera), Philip Morris (USA), ConAgra Inc. (USA), Unilever (Olanda/UK), Coca-Cola (USA). Sempre più spinta è la concentrazione anche nel settore delle vendite. Negli Stati Uniti il 52% delle vendite al dettaglio di prodotti alimentari è nelle mani di cinque catene: Wal-Mart, Kroger, Albertson' s, Safeway e Ahold USA, quando solo nel'97 la percentuale era del 24%. Anche in Europa sta accadendo tutto questo. La società più attiva è certamente la Carrefour, secondo venditore al dettaglio del mondo.A livello mondiale, gli analisti, prevedono 5/6 global competitors: Wal-Mart (USA), Tesco (UK), Ahold (Olanda), Carrefour (Francia) e Metro AG (Germania). Oltre alla cosiddetta concentrazione orizzontale, negli anni recenti si è avviata una integrazione verticale tendente a costruire compagnie in grado di presenziare le diverse fasi di un processo di produzione di un prodotto alimentare. Le compagnie che dominano il commercio dei cereali sono parte di conglomerati i cui interessi finanziari sono ampi e per essi il prezzo dei cereali è un costo di produzione per allevamenti di bestiame e cibi preconfezionati, i cui margini di profitto sono molto superiori a quelli limitati alla vendita esterna di cereali. La Cargill, per esempio, è anche una delle maggiori società (la settima) del settore food and beverage. Tramite la Excel, una delle sue compagnie, è fra i maggiori produttori di carne preconfezionata. L'abbassamento dei prezzi dei cereali degli ultimi anni è stato un beneficio per le industrie zootecniche, mentre i consumatori hanno continuato a pagare lo stesso prezzo. Quando i prezzi dei cerali scendono, non scendono quelli della carne di pollo: alla fine tale profitto va sempre alla Cargill. Il numero ridotto di grandi compagnie in grado di dominare ogni anello della catena di produzione agroalimentare significa che queste società possono esercitare una grossa pressione per sostenere i loro prezzi di vendita e di esercitare analoghe pressioni, ma in senso opposto, per mantenere bassi i prezzi dei prodotti agricoli che acquistano. La concentrazione del mercato, lo rende più simile a un regime di monopolio che a un mercato libero e competitivo. Permette alle società dominanti di mantenere profitti elevati. Gli agricoltori guardano con preoccupazione a questa situazione, soprattutto vedendo che mentre l' agricoltura è perennemente in condizioni difficili e le piccole aziende chiudono, le multinazionali continuano a crescere e ad aumentare i loro profitti. Oltretutto al potere economico corrisponde potere politico, cioè capacità nell' influenzare le politiche dei governi. L' ex vicepresidente della Cargill, Dam Amstutz, partecipò alla scrittura dell' AoA quando lavorava nel Trade Rapresentative Offe USA; spesso hanno più potere politico dei rappresentanti delle categorie agricole e per la loro natura globale applicano il loro potere nei paesi in cui operano simultaneamente. Quando si parla di problemi agricoli, invece si punta sempre l' indice verso i contributi governativi, in particolare verso quelli europei. Come scrivono gli agricoltori canadesi della National Farmers Union, la spiegazione consueta ai loro problemi è che la crisi è causata innanzitutto dai sussidi dell' Unione Europea che aumentano la produzione, creano eccedenze e dall'abbassamento dei prezzi deriva la loro crisi.
Schematicamente:
Sussidi UE >> Aumento produzione UE >> eccedenze >> Abbassamento prezzi di mercato >> Crisi economica agricoltori
Ma l' analisi di quanto accaduto negli ultimi anni, mostra che è ingannevole pensare che questa equazione rappresenti la realtà del problema, analizzando la produzione agricola, ad esempio, si scopre che l'aumento di produzione è avvenuto indistintamente fra paesi con un altro livello di sussidi e paesi che non ne usano (l'Australia ha registrato un aumento percentualmente superiore ai Paesi UE nella produzione di frumento). E' dagli anni ' 70 che il mercato non riesce a fornire un ritorno adeguato agli agricoltori nonostante l' intero sistema agroalimentare sia fonte di profitti. Questo fallimento di mercato è il risultato dello squilibrio fra le multinazionali del settore e gli agricoltori che devono commerciare con esse. "Mentre la retorica parla di sostegno alle famiglie di agricoltori in difficoltà, la realtà è molto diversa. Il 10% degli agricoltori americani riceve duerzi dei contributi; l' 1% riceve mediamente più di 110.000 dollari all' anno. In Europa il 30% degli agricoltori riceve il 70% dei fondi, fra di essi il Principe Carlo d'Inghilterra." Michael W.G.Garrett Executive Vice president Nestlé.Il tema dei sussidi agricoli è stato ampiamente dibattuto negli ultimi anni. L' AoA ha certamente fallito nel tentativo di ridurli poiché i paesi che ne facevano ampio uso continuano a farlo (principalmente UE, USA e Giappone), semplicemente hanno modificato le modalità di erogazione. Meno chiaro, almeno per la gente comune, è che il sistema di erogazione di questi contributi è poco equo e che non finisce nelle tasche di chi ne avrebbe maggior necessità. Come faceva notare, il vice presidente esecutivo della Nestlé nella frase riportata sopra, la fetta più grossa dei sussidi finisce in poche mani e questo accade sia in Europa che negli USA. Gli Stati Uniti, in sede WTO, hanno sempre sostenuto una posizione liberista anche in agricoltura; nella pratica, però, la posizione statunitense è molto meno netta, anzi, i sostegni americani non sono da meno, si differenziano solo nella modalità con cui vengono elargiti. In attesa di trovare dati analoghi per l' Europa, ecco qualche interessante dato sui destinatari dei sussidi a farmers americani. Innanzitutto non tutte le diverse coltivazioni sono sostenute, anzi, il 90% dei contributi va ai produttori di mais, frumento, cotone, semi di soia e riso. Fatta questa premessa, il 60% degli agricoltori non riceve sussidi mentre il 10% dei beneficiari ne assorbe il 61%. Questo 10% ha ricevuto mediamente 32 mila dollari ogni anno, 27 volte la cifra mediamente ricevuta . L' 1% al top della lista dei destinatari dei sussidi, ne ha percepiti 83 mila dollari. Sono destinatari di sovvenzioni investitori e proprietari terrieri, non coinvolti direttamente nella produzione agricola. Fra i beneficiari dei contributi 10 troviamo addirittura società che fanno parte della lista "Fortune 500", la classifica delle 500 maggiori società USA, stilata dalla omonima rivista. Nel 2000, ad esempio figuravano: ¨ Archer Daniels Midland ($36,305) ¨ Boise Cascade Corporation ($11,024 ) ¨ Caterpillar ($17698) ¨ Chevron ($260,223 ) ¨ Deere & Company ($12,875 ) ¨ DuPont ($188,732 ) ¨ Georgia Pacific ($37,156 ) ¨ International Paper ($375,393 ) ¨ John Hancock Mutual Life Insurance ($125,975 ) Hanno ricevuto contributi persino aziende come la Pfizer (meglio nota come produttrice del Viagra) e la RJ Reynolds Tobacco Co.
Conclusione
Gli accordi sul commercio agricolo in questi ultimi anni hanno fallito l' obiettivo di portare prosperità al mondo contadino. Questo è accaduto sia nel Nord del Mondo, sia nei Paesi del Sud, dove la situazione è drammaticamente più grave perché l' agricoltura è l' attività praticata dalla maggior parte della popolazione e perché vi sono situazioni di carenza alimentare. Per gli agricoltori questi accordi hanno avuto due conseguenze importanti. Rimuovendo sistemi tariffari e non, hanno condotto gli agricoltori ad un unico mercato iper competitivo. Spingendo per un minore intervento statale e la fine di ogni intervento diretto attraverso imprese che in alcuni Paesi provvedevano a controllare e stabilizzare i prezzi di alcune derrate, hanno favorito la crescita di gruppi imprenditoriali. In condizioni di alta competitività, i prezzi e i profitti dovrebbero scendere, non per nulla gli economisti sostengono che il libero mercato conviene ai consumatori (dimenticando che sono anche lavoratori), ma se la competizione è aumentata per i contadini, è diminuita per le multinazionali agroalimentari, sempre meno ma sempre più grandi. La situazione che si è venuta a creare è che il potere sul mercato fra i due è enormemente sproporzionato. In queste condizioni, una ulteriore riduzione dell' intervento governativo sul mercato agricolo, sarà a favore dell'Agribusiness, così come il regime di sussidi vigente non modifica le storture del mercato, ma semplicemente lo mantiene in vita. Perciò i negoziati sull' AoA, che si stanno svolgendo secondo i tre consueti pilastri: sussidi all'esportazione, sostegni interni e accesso al mercato vanno verso un ulteriore rafforzamento del potere delle compagnie agroalimentari e mancano l' obiettivo di migliorare il reddito degli agricoltori, indispensabile ad ogni tentativo di soddisfacimento dei bisogni alimentari del pianeta. Da 25 anni, politici e manager hanno avuto la meglio nel sabotare i tentativi degli agricoltori di comprendere il problema. E' fondamentale che il tema della concentrazione di potere e del fallimento del mercato entri nell' agenda dei negoziati.

26.4.06

Le sementi OGM rappresentano un cavallo di Troia?

di Giuseppe Altieri
La Commissione Europea si affanna sotto le pressioni asfissianti delle Multinazionali e propone le solite soglie di (in)"tolleranza" per la presenza degli ogm, questa volta addirittura sulle sementi per le coltivazioni e addirittura sugli alimenti biologici. Ovviamente, siccome gli ogm contaminerebbero irreversibilmente le altre forme di coltivazione, la Coesistenza di coltivazione con gli ogm presuppone che non ci sarebbero più coltivazioni ogm free… Ed è questo l'unico vero scopo delle Multinazionali che cercano di imporre il loro monopolio sull'agricoltura e il cibo, attraverso brevetti sugli ogm, contaminazioni irreversibili dell'ambiente e delle altre forme di coltivazione, soglie di tolleranza senza etichettatura della presenza di ogm, di modo che i consumatori non possano più scegliere liberamente. Come si può parlare pertanto di "Coesistenza"? Infatti, la recentissima sentenza della Corte Costituzionale, sul ricorso presentato dalla Regione Marche (ogm free) e dall'Asseme (Associazione Sementieri Mediterranei), ha praticamente abolito la legge 5 che prevedeva che le Regioni dovessero allestire piani di "Coesistenza" di coltivazione con gli ogm, ribadendo che, se vogliamo avere sul mercato la coesistenza di merci contenenti ogm e prodotti biologici, tipici, altri prodotti 100% ogm free... non si possono coltivare ogm in Italia e le Regioni fanno bene a dichiararsi "libere da ogm". Mettere delle soglie di tolleranza di ogm nelle sementi e negli alimenti biologici (oggi 100% ogm free) significherebbe invece dare la possibilità di coltivare ogm e contaminare in breve tempo tutta l'agricoltura tradizionale europea. Soprattutto significherebbe la distruzione dell'agricoltura biologica, che sta rapidamente conquistando con i suoi prodotti i mercati di tutto il mondo, proprio perchè rigorosamente liberi da ogm. Un Cavallo di Troia[...]. Una proposta di "mediazione" fatta da alcuni "ecologisti" e dalla CIA (il sindacato agricolo, beninteso...) alla commissione europea prevede che le soglie di tolleranza negli alimenti biologici corrispondano ai livelli minimi di presenza rilevabile alle analisi di presenza di ogm, definite col valore di 0,1% (e nelle sementi?). Ma questo è un valore maggiore di Zero! La matematica per fortuna ci viene in aiuto. Ma scusate, se rilevo presenza di ogm nel biologico e nei semi di qualsiasi tipo laddove gli ogm non ci devono stare (altrimenti contaminerebbero tutto), a cosa servono le soglie di tolleranza? Qualcuno forse non ha ancora capito che gli ogm sfuggono sia alla politica che alle mediazioni, come tutte le dittature, che semplicemente impongono se stesse. O si accetta irreversibilmente che tutto diventi ogm, con la cosiddetta Coesistenza di coltivazioni (contraddizione in termini) e le soglie di tolleranza senza etichette (cose legate a doppia mandata in relazione di causa ed effetto). Semplice... forse troppo. Cerchiamo invece di darci da fare per abolire le soglie di tolleranza di ogm in tutti gli alimenti (oggi, in quelli convenzionali, allo 0,9%) cosi com'è per quelli biologici (oggi al 100% liberi da ogm e, guarda caso, scelti sempre più dai consumatori) ed etichettiamone le presenze anche in tracce rilevabili alle analisi di presenza/assenza, affinchè i consumatori possano scegliere se mangiarli o meno gli ogm... se proprio li vogliamo importare e mettere sul mercato (unica forma di coesistenza possibile), nonostante gli accertati rischi per la salute. Altrimenti a forza di soglie di tolleranza... diventeremo tutti intolleranti. Facciamo un esempio pratico. Matematicamente, la soglia di rilevazione analitica di presenza degli ogm corrisponde a qualsiasi valore sopra Zero! E non allo 0,1% (che corrisponderebbe a 1:1.000 semi) e a una parte su 1.000 negli alimenti in generale. Infatti, se il campione d'analisi è di 3.000 semi (come per legge in Italia), per trovare positività alle analisi è sufficiente avere la presenza di 1 seme OGM = 0,03% (analisi PCR qualitativa); se troviamo 2 semi OGM su 3.000, abbiamo un valore di 0,06%; se ne troviamo 3 su 3.000, abbiamo il valore 0,1%. Se questo valore 0,1% venisse assunto come soglia di tolleranza, una contaminazione di 2 semi OGM su 3.000 verrebbe legalizzata e sarebbe sufficiente a contaminare tutta l'agricoltura Europea in breve tempo, vanificando lo stesso concetto di coesistenza, in quanto tutte le coltivazioni conterrebbero ogm. Se il campione d'analisi fosse di 10.000 semi, come qualcuno addirittura propone, la presenza di 1 seme ogm darebbe un valore di 0,01%, sufficiente alla determinazione di presenza con le analisi qualitative PCR, per le quali basta che ci sia un solo dna ogm nel campione da analizzare. In questo caso, se inserissimo delle soglie di tolleranza allo 0,1% potremmo avere addirittura 9 semi GM su 10.000 legalizzati!! E negli alimenti è sufficiente la presenza di una sola particella transgenica per verificarne la presenza, anche se in misura infinitesima... importante è che sia presente nel campione di analisi... e ciò dipenderà da come preleviamo i campioni e dal numero di campioni analizzati (più ne analizziamo e maggiore sarà la probabilità di rintracciare le eventuali contaminazioni da ogm). E allora, cerchiamo di fare molta attenzione... gli ogm possono sfuggire alla politica ma non alla matematica, che per fortuna non è una opinione. A proposito di opinione, ricorderei che quella pubblica è all’80% contraria agli ogm. No, pertanto, alle soglie di tolleranza e Si alle etichettature di qualsiasi livello di presenza di ogm negli alimenti e divieto assoluto di semine di ogm e di contaminazione qualsiasi delle sementi. Ed alimenti Biologici rigorosamente liberi da ogm al 100%. La tolleranza Zero è l'unica che può garantire la coesistenza sul mercato tra "alimenti" ogm importati ed alimenti biologici e tradizionali Europei ed Italiani, 100% ogm free. Altrimenti tutto diventerà contaminato e nulla sarà più puro... ci saranno solo gli Ogm. E il cibo, forse, a causa dei diritti di brevetto… diventerà un lusso. Oggi siamo a un bivio: biologico o transgenico. I consumatori e i popoli hanno già scelto: l'unica via per il progresso è quella indicata dalla Tradizione.Commissione Europea o dittatura? Siamo ottimisti... l'Agroecologia trionferà e, con essa, l'intelligenza umana. E Ulisse potrà godersi in pace, come ognuno di noi, la sua Itaca, così come ce l'hanno lasciata i saggi padri, ben sapendo che la terra non è una loro eredità, ma un prestito dei figli.

14.4.06

Le sementi del turbamento

La domanda è semplicemente questa: si vuole che alcune multinazionali monopolizzino l'approvvigionamento mondiale di cibo? Se la risposta è si, si dovrebbe dare il benvenuto all'annuncio del governo, che la piantagione commerciale di una coltivazione geneticamente modificata (GM) può andare avanti. Se la risposta è no, bisognerebbe pentirsene. Il principale sforzo promozionale dell'industria dell'ingegneria genetica è di distoglierci da questo interrogativo.
La tecnologia della modificazione genetica rende possibile alle aziende di assicurare che qualunque cosa noi mangiamo è di loro proprietà. Loro possono brevettare le sementi e i processi che danno loro origine. Possono assicurarsi che le sementi non riescano a maturate senza i loro prodotti chimici brevettati. Possono impedire alle sementi di riprodursi. Comprando tutte le aziende produttrici di sementi concorrenti e bloccandone la produzione, possono impadronirsi del mercato alimentare, il più grande e il più diversificato di tutti.
Nessuno che sia sano di mente accetterebbe volentieri questo, così le multinazionali devono indurci a concentrarci su qualcos'altro. In un primo momento hanno parlato di accrescere la scelta del consumatore, ma quando lo zuccherino è fallito, sono passati al bastone. Adesso ci viene detto che se non appoggiamo l'ingresso delle coltivazioni GM in Gran Bretagna, la nostra scienza di base crollerà. E così, rifiutando di mangiare prodotti GM in Europa, stiamo minacciando il mondo in via di sviluppo con la fame. Entrambi gli argomenti sono, come vedremo, ricchi di immaginazione, ma nelle relazioni pubbliche la forza di persuasione conta per poco. E via così, la faccenda è che si gira attorno alla discussione tanto quanto basta a raggiungere il risultato necessario. E questo significa ingaggiare personaggi di primo piano per far sembrare l'affare a vostro vantaggio.
Lo scorso ottobre, 114 scienziati, molti dei quali ricevono fondi dalle industrie biotecnologiche, hanno inviato una lettera aperta al Primo Ministro sostenendo che la perdita di entusiasmo per le coltivazioni GM in Gran Bretagna "impedirà la nostra capacità di contribuire alla conoscenza scientifica a livello internazionale". Gli scienziati specializzati in questo settore, sostengono, saranno obbligati a lasciare il paese per trovare lavoro altrove.
Perdonatemi se avete sentito parlare di questo prima, ma sembra ci sia bisogno di ripetere. Le coltivazioni GM non sono scienza. Sono prodotti tecnologici della scienza. Sostenere, come Tony Blair e vari autorevoli scienziati hanno fatto, che quelli che si oppongono ai prodotti geneticamente modificati sono "contro la scienza" è come sostenere che coloro che si oppongono alla armi chimiche sono contro la chimica. Gli scienziati non sono sottoposti ad un obbligo maggiore a difendere il cibo geneticamente modificato di quello che essi hanno di difendere la produzione delle bambole Barbie.
Questo non per dire che i firmatari stessero sbagliando a sostenere che alcuni ricercatori, che sono specializzati nello sviluppo delle coltivazioni manipolate, adesso stanno lasciando la Gran Bretagna per trovare lavoro altrove. Dal momento che la gente ha rifiutato i loro prodotti, le aziende di biotecnologia hanno cominciato a ritirarsi da questo paese, portandosi via anche i loro fondi. Ma se gli scienziati legano il loro sostentamento al mercato, possono aspettarsi che il loro sostentamento sia influenzato dagli obblighi del mercato. Le persone che hanno scritto a Blair sembrano pretendere entrambi i punti di vista: i fondi commerciali, isolati dalle decisioni commerciali.
In realtà, il contributo delle aziende di biotecnologia alla ricerca in Gran Bretagna è stato esiguo. Molto più denaro è arrivato dal governo. Il suo Consiglio per la Ricerca in Biotecnologie e Scienze Biologiche, per esempio, finanzia 26 progetti sulle coltivazioni GM e appena uno sull'agricoltura biologica. Se gli scienziati vogliono una fonte di finanziamenti che sia difficilmente messa a repentaglio dall'interesse pubblico, dovrebbero fare pressioni affinché questo rapporto sia invertito.
Ma la condizione degli uomini in camice bianco non è una storia molto lacrimevole. Una forma di ricatto emozionale molto più efficace è quella spiegata sul Guardian la scorsa settimana da Lord Taverne, il fondatore dell'agenzia di pubbliche relazioni Prima. "Il più solido argomento a favore della sviluppo delle coltivazioni GM", ha scritto, "è il contributo che esse possono apportare a ridurre la povertà nel mondo, la fame e la malattia".
C'è qualche dubbio che delle coltivazioni GM abbiano una resa superiore a quella di coltivazioni convenzionali, o che possano essere modificate per contenere più nutrienti, sebbene entrambi questi sviluppi sono stati fortemente pubblicizzati. Due progetti sono stati citati dappertutto: una patata dolce che è prodotta in Kenya per resistere ai virus, e il riso con un apporto superiore di vitamina A.
Il primo progetto è appena fallito. Nonostante i 6 milioni di dollari di finanziamento dalla Monsanto, dalla Banca Mondiale e dal governo degli Stati Uniti, una continua ed ossessiva pubblicità sulla stampa, è andata a finire che ha prodotto nessun miglioramento nella resistenza ai virus e una riduzione nella resa. Proprio nei pressi del confine in Uganda, un programma di coltivazione convenzionale di gran lunga più economico ha quasi raddoppiato la resa delle patate dolci. L'altro (il riso), niente più che una idea, è andato a finire adesso che non è realizzabile nemmeno in teoria: le persone malnutrite sembrano non poter assorbire la vitamina A in questa forma. Ma niente di questo ferma Lord Taverne, o George Bush, o il Consiglio di Bioetica Nuffield dal citarli come rimedi miracolosi per la fame mondiale.
Ma alcuni esperimenti di questo tipo stanno avendo successo, migliorando sia la resa sia il contenuto nutrizionale. Nonostante i migliori sforzi dei sostenitori dell'industria di confondere le due idee, tuttavia, questo non equivale a sfamare il mondo.
Il mondo ha un'eccedenza di cibo, ma ancora le persone patiscono la fame. Hanno fame perchè non possono permettersi di comprarlo. Non possono permettersi di comprarlo perchè le fonti di ricchezza e i mezzi di produzione sono stati accaparrati e in qualche caso monopolizzati dai proprietari terrieri e dalle multinazionali. Lo scopo dell'industria biotecnologica è di conquistare e monopolizzare le fonti di ricchezza e i mezzi di produzione.
Adesso in alcune località, i governi o ricercatori privati generosi stanno producendo coltivazioni GM che sono libere da brevetti e non dipendenti dall'applicazione di pesticidi proprietari, e queste potrebbero ben essere vantaggiose per i piccoli agricoltori nei paesi in via di sviluppo. Ma Taverne e gli altri propagandisti stanno cercando di persuaderci ad approvare un modello industriale di sviluppo degli organismi GM nel mondo ricco, nella speranza che questo in qualche modo favorisca il modello opposto di sviluppo nei paesi poveri.
In realtà, è difficile da comprendere che, sulla terra, la produzione di coltivazioni per la popolazione locale nelle nazioni povere e la distribuzione delle sementi siano collegate con le preferenze dei consumatori in Gran Bretagna. Come gli scienziati che hanno scritto a Blair, i ricattatori emozionali vogliono avere entrambe le cose: queste coltivazioni stanno nascendo per alimentare le popolazioni che soffrono la fame, ma queste persone non potranno cibarsene a meno che essi possano esportare questo cibo verso la Gran Bretagna.
E qui ci scontriamo con la verità continuamente omessa riguardo le coltivazioni GM. La grande maggioranza non vengono fatte crescere per alimentare la popolazione locale. Di fatto, non vengono fatte crescere assolutamente per alimentare persone, ma per fornire cibo al bestiame, le cui carni, latte e uova sono poi vendute ai consumatori dei paesi più ricchi del mondo. Il granturco GM che è previsto che il governo approvi oggi non è un'eccezione. Se nei prossimi 30 anni ci sarà una crisi globale del cibo, sarà perchè il terreno coltivabile che dovrebbe produrre cibo per gli uomini sta invece producendo cibo per gli animali.
Le aziende biotecnologiche non sono interessate se la scienza sta godendo o no buona salute o se le persone stanno morendo di fame. Loro semplicemente vogliono fare soldi. Il miglior modo per fare soldi è controllare il mercato. Ma prima che si possa controllare il mercato, si deve innanzitutto convincere la gente che c'è qualcos'altro in gioco.

10.4.06

Sementi con presenza di Ogm: preoccupazione della Cia sul livello tecnico dei controlli

La Cia-Confederazione italiana agricoltori, nell’attesa di sapere come il ministro delle Politiche agricole Giovanni Alemanno si orienterà rispetto alla fissazione o meno di una soglia di tolleranza per eventuali presenze accidentali di Ogm nei sementi di soia e mais, esprime preoccupazione per il sistema di controlli che dovranno rilevare tale contaminazione. Auspica, quindi, che le autorità competenti prescrivano per tutti i laboratori autorizzati le stesse tecniche di campionamento e di rilevazione e che queste siano le più rigorose possibili.
La Cia rileva, infatti, come, in particolare per le sementi, il metodo di campionamento è un fattore critico fondamentale per una corretta analisi delle impurità. La presenza di Ogm in minime tracce all’interno di un lotto di seme necessita di vari campioni prelevati uniformemente nello stesso lotto, per incorrere il meno possibile in risultati erronei che potrebbero dare sia falsi positivi che falsi negativi. Ciò è stato dimostrato più volte in passato quando un primo risultato negativo di un’analisi, veniva smentito da uno successivo eseguito sullo stesso lotto.
L’agricoltore - sottolinea la Cia - ha bisogno di risultati certi che non lo penalizzino rispetto agli impegni che a sua volta dovrà assumere nei confronti delle industrie di trasformazione e, più in generale, del mercato.
Secondo la Cia, sarebbe, dunque, importante che già per queste semine le autorità di controllo utilizzassero uniformemente il metodo di campionamento Ista, già ampiamente collaudato a livello internazionale ed applicato anche dall’Italia per alcune specifiche certificazioni. Nondimeno sarebbe opportuno nominare un’autorità centrale che abbia funzioni di coordinamento nei confronti dei diversi centri e livelli di controllo (Asl – Nas – Istituti di analisi).

4.4.06

I controlli Ue su sementi, tuberi e piantine

Un altro passo verso l'uniformità legislativa della Comunità. Dal 18 febbraio 2005, infatti, anche sotto il profilo dei controlli da effettuare su sementi e materiali di moltiplicazione l'Italia si allineerà alla normativa dell'Unione Europea, recependo la Direttiva 2003/61/CE. Lo stabilisce il Decreto legislativo n.331del 13 dicembre 2004, che dispone controlli a campione su: sementi di piante foraggere, sementi di cereali, materiali di moltiplicazione vegetativa della vite, piantine di ortaggi, materiali di moltiplicazione di ortaggi (eccettuate le sementi), materiali di moltiplicazione delle piante da frutto e piante da frutto destinate alla produzione di frutti, materiali di moltiplicazione delle piante ornamentali, sementi di barbabietole, sementi di ortaggi, tuberi-seme di patate, sementi di piante oleaginose e da fibra. Di tutti questi materiali presenti sul mercato verranno presi dei campioni tramite sondaggi. Tutte le prove e le analisi, decise a livello comunitario e svolte solo da autorità statali o persone giuridiche che agiranno sotto la diretta responsabilità dello Stato, dovranno essere di carattere comparativo e mirate a stabilire che i campioni controllati siano conformi ai parametri previsti, con lo scopo di armonizzare i metodi tecnici di certificazione. Inoltre potranno essere finanziate con fondi comunitari. Il Decreto legislativo contiene, infine, anche una clausola di cedevolezza che riguarda la competenza legislativa delle provincie autonome di Trento e di Bolzano. In pratica essa stabilisce che, finché esse non abbiano provveduto a recepire la Direttiva 2003/61/CE, si applicano le norme contenute nel Decreto legislativo stesso.
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