Informazioni sull'import export di sementi e sui volumi di acquisto e vendita online di semi.

28.2.06

Compravendita di sementi online: OrganicXseedS

La banca dati sempre aggiornata sulle sementi e sui materiale di propagazione biologici in Europa.
Gli agricoltori biologici devono impiegare per le loro produzioni sementi e piantine biologiche. Oggi le direttive comunitarie prescrivono l'impiego di sementi e materiale di propagazione biologici solo se disponibili sul mercato, ma a partire dal 2004 devono utilizzare esclusivamente sementi e materiale di propagazione biologici.
Per venire incontro alle esigenze dei produttori è stata costituita una banca dati organicXseeds per la ricerca di sementi e materiale di propagazione biologici.
L'obiettivo di questa banca dati è di offrire agli acquirenti una informazione sempre aggiornata sulla loro disponibilità: ogni agricoltore, ogni consulente e ogni ispettore potrà sapere in modo rapido chi vende sementi e materiale di propagazione biologici non transgenici in Europa. OrganicXseeds permetterà, inoltre, alle ditte fornitrici di informare la clientela sull'attuale disponibilità dei loro prodotti.
Attualmente sono presenti in lista più di 1.000 prodotti e più di 20 fornitori di semi provenienti da 7 paesi europei. La gamma di prodotti include tra l’altro, cereali, verdure, frutta, spezie e foraggi. Sono incluse anche alcune piante ornamentali.L’organizzazione responsabile per il database è il FIBL (Istituto di Ricerca per l’Agricoltura Biologica) in Svizzera in cooperazione con la SA (Soil Association) e il NIAB (Istituto Nazionale della Botanica Agricola) in Inghilterra, AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica) in Italia, l’LBI (Luis Bolk Institut) e the Stichting Zaadgoed in Olanda e il gruppo di lavoro ALOG (Arbeitsgemeinschaft Lebensmittel ohne Gentechnik) in Germania.

Brasile: quando i "MONSANTOS" riscuotono, il contrabbando paga le royalties!

Intervista tratta da: http://www.altragricoltura.org/ogm/ogm-monsanto.htm

La multinazionale Monsanto ha introdotto sementi di soia transgenica di contrabbando in tutto il Brasile, con la complicità delle autorità governative. Ora che il raccolto riempie i silos, Monsanto chiede le royalties. Più o meno come se i ladri riscuotessero IVA al vendere ciò che hanno rubato.
Quali sono le ragioni dell'attuale conflitto tra alcuni produttori di soia del Sud del Brasile e la multinazionale Monsanto?
Questo è qualcosa che già avevamo previsto: alcune cooperative di agricoltori hanno percepito che Monsanto e nessun'altra impresa possiede meccanismi per riscuotere direttamente le sue royalties. Per questo alla Monsanto occorrono le strutture già esistenti tali come cooperative, associazioni, sindacati, e gruppi di agricoltori per poter riscuotere. Monsanto vuole ricevere 0,20 dollari per ogni sacco di soia che arriva nei centri di raccolta, così si scala questa percentuale da ciò che riceverà il produttore. Vuol dire che sono le organizzazioni dei produttori che faranno questo bel servizio alla Monsanto. In realtà questo meccanismo è molto diabolico, perché non si sa in modo certo quale percentuale della soia che si produce sia transgenica, e neppure che percentuale del contenuto di ogni sacco lo sia. Se un 80% è transgenico, l'esattore starà chiedendo un 20% in più. Le cooperative e associazioni non hanno i mezzi per sapere quanto sia transgenico e quanto no, quale sacco contenga soia transgenica e quale no. Se poi si volesse fare il lavoro in forma onesta, come dovrebbe essere, le associazioni sarrebbero obbligate ad acquistare i kits che vende la stessa Monsanto per fare le analisi e sapere quale è transgenico e quale no. Ma questo è un costo in più, un equipaggiamento che vende la stessa Monsanto che garantisce in questo modo la sua partecipazione nel sistema di commercializzazione della soia. Senza questo kit per l'identificazione non vi sono garanzie. L'interesse della Monsanto non è il riscuotere più o meno royalties, quello che vuole è partecipare, essere dentro per andare avanti ed arrivare ad un controllo totale.
Quale è stato il fatto che ha scatenato questa polemica?
E' successo che una cooperativa al Nordovest di Rio Grande del Sur ha ottenuto un ordine giudiziale che la esenta dal pagare le royalties. Monsanto è attualmente l'unico produttore di questa semente ed ha assicurato il suo affare, il suo commercio; ma se osserviamo che monopolizza anche la vendita dell'erbicida, può sommare la vendita del chimico alla vendita della semente e in più la certificazione finale, vedremo che in realtà ha un gruppo di servizi connessi con la produzione della soia. Allora alcuni agricoltori incominciano a rendersi conto che il loro reddito dipende dal clima, però la parte della Monsanto è ogni volta più sicura perché non partecipa alla produzione ma alla commercializzazione ed ai servizi aggregati. Adesso riscuotono royalties per la tecnologia, e poi sarà per un'altra e poi un'altra ancora, legate a catena, fino ad arrivare al meccanismo dei grandi supermercati, dove, per poter mettere i loro prodotti, i fornitori dovranno pagare un "pedaggio" sotto forma di registro che a volte raggiunge la cifra di varie decine di migliaia di dollari. Questo sta creando adesso molte polemiche.
Con quali argomenti la giustizia afferma che gli agricoltori non debbono pagare?
Non è mai stato permesso che Monsanto vendesse la sua tecnologia agli agricoltori di Rio Grande del Sud, pertanto non può pretendere di riscuotere su quello che non poteva commercializzare. Inoltre queste sementi sono state contrabbandate da Argentina ed ancor oggi è illegale. In più la legge 11.092 approvata dal Presidente Lula poco tempo fa stabilisce che per riscuotere le royalties, le imprese devono presentare una ricevuta fiscale della vendita delle sementi, e siccome la vendita non era stata autorizzata fino ad ora, con maggior ragione non si possono pretendere dei regali. Monsanto non ha mai riconosciuto di aver fatto contrabbando di sementi, ma tutti sanno che così è stato. Quando Monsanto mandò a prendere illegalmente sementi in Argentina, non riconobbe lo Stato nazionale perché riconosce solo la sua tecnologia, il suo prodotto e l'esistenza di un mercato. Il nuovo ordine commerciale mondiale implica che nessuno stato può regolare la libertà commerciale delle transnazionali. Il potere della lobby è talmente chiaro che l'ambasciatore degli USA in Brasile si sentì libero di consigliare pubblicamente al Parlamento di non includere quell'articolo nella legge perché potrebbe pregiudicare la Monsanto. Se si danneggia la Monsanto si danneggiano gli Stati Uniti.
Quanto denaro rappresenterebbero queste royalties?
Ci sono più o meno 70 milioni di tonnellate di soia, ogni sacco contiene 60 chili, ciò da' approssimativamente circa 230 milioni di dollari. Ciò che sta succedendo assomiglia abbastanza a ciò di cui abbiamo parlato tre o quattro anni fa. Esattamente, ed è l'inizio del processo. Entro tre anni saremo come l'Argentina: non esisterà in Brasile neppure un granello di soia non transgenica. Stiamo andando inesorabilmente sulla stessa strada. Se qualcuno trova oggi un solo sacco di soia non transgenica in Argentina, bisogna dichiarare che è un miracolo divino, neppure l' Istituto Nazionale di Tecnologia Agraria, nessuno ne ha un solo granello. La pressione delle multinazionali è così, ha il dominio totale nell'inesistenza di alternative indipendenti. E' stata la lotta che abbiamo dato qui, e il grande tradimento del governo dello stato di Rio Grande del Sud è stato dire che affrontava il nemico quando in realtà lo ha sempre avuto come alleato.
La penetrazione di Monsanto in Brasile allora è completa?
Possiamo dire che oggi il Brasile non ha spazio per tenere soia che non sia transgenica, questa è la grande sconfitta. Caso mai fosse poco, il governo cinese è venuto in Brasile esigendo dalle autorità locali la garanzia documentata che la soia brasiliana non danneggia la salute. Chi ha fatto il contrabbando sono state Monsanto e Cargill, il governo non le ha punite e adesso il governo firma un compromesso di quel tipo. Se un domani la soia danneggerà i cinesi, chi li dovrà indennizzare non sarà la Monsanto ma il popolo brasiliano perché questo governo si è assunta la responsabilità del prodotto delle sementi contrabbandate. La cosa è talmente incredibile che uno non riesce a capire che cosa passa per la testa di questi signori in quei momenti in cui firmano. La società dovrebbe stare discutendo di tutto questo, ma non lo fa. E' come se fossimo in Palestina e i Monsanto volessero crocifiggere Cristo, gli statunitensi dell' impero di Bush se ne lavarono le mani e noi stiamo qua a discutere se usare chiodi da 10 o da 20. E noi che cerchiamo di creare una coscienza riguardo a queste cose siamo qualificati come ' ideologici ', ' comunisti retrogradi ', ' socialisti...', pazzi, e non c'è un solo studio sugli impatti di questa situazione. Le cose sono così folli che, per esempio, Monsanto è stata da poco multata dal governo di Indonesia per aver corrotto un ministro dell'agricoltura. Invece di tirarsi indietro Monsanto fece stabilire al Congresso degli Stati Uniti che i Parlamentari dovevano aiutarlo per non pagare la multa perché sarebbe stato sconveniente per tutto il Paese. Queste discussioni dovrebbero succedere a Davos, perché stiamo parlando di pirateria, di corruzione, di subordinazione, di contrabbando. E' questo uno sporco gioco, ma l'etica attuale lo permette. La lotta ai transgenici viene perciò indebolita. Infatti è molto indebolita perché i mezzi di comunicazione stanno dalla parte di chi paga la propaganda, le autorità sono subordinate al capitale, i fiumi sono privatizzati per trasportare soia, così come i porti. Non c'è interesse per affrontare questa biotecnologia industriale. Non sono pessimista perché credo che la polemica sbocciata ora porterà a molti ragionamenti e riflessioni come queste: Cargill, Monsanto e Carrefour hanno interesse che esista soia organica di qualità, e che esista soia transgenica in grande quantità. Il paese che abbia le condizioni per produrre soia organica guadagnerà molti soldi, ma sarà sempre sotto il dominio delle imprese menzionate. E' da lamentare il fatto che dovuto alla struttura del possesso della terra in Rio Grande del Sud e di Santa Catarina, non abbiamo la scala del Matto Grosso del Sud, dove si mettono a lavorare in linea 40 raccoglitrici in una proprietà di 1.200.000 ettari piantate a soia transgenica. Noi dovremmo seminare solo soia organica, perché i terreni sono molto più piccoli. Ma questo è stato impedito e adesso abbiamo questa catastrofe. Rimarremo fuori dal mercato. La OMC ci dice che non comprendiamo bene il mondo attuale, ma noi già sappiamo, sono 500 anni che lo sappiamo.
Sebastião Pinheiro, ambientalista, ingegnere agronomo e professore della Università del Rio Grande do Sul (UFRGS)

21.2.06

Vendita delle sementi: bilancio in rosso ad un anno dalla nuova PAC

Una perdita netta per l’agricoltura italiana di oltre 700mila ettari di superficie coltivata, una contrazione complessiva del 25% nella moltiplicazione di sementi: questo il bilancio fortemente negativo che stila l’AIS - Associazione Italiana Sementi, al termine del primo anno di applicazione della nuova riforma PAC.
“Dopo anni di sostanziale stabilità, nel 2005 il settore sementiero ha registrato una pesante contrazione nella vendita di sementi certificate” – denuncia Bruna Saviotti, Presidente AIS. “Al calo di oltre 600mila ettari di frumento duro e di circa 150mila ettari di mais, si sono purtroppo contrapposti solo lievi aumenti di poche decina di migliaia di ettari per il frumento tenero e l’orzo, il girasole, il favino ed il pisello, qualche coltura foraggera minore”.
La contrazione negli investimenti secondo l’AIS continuerà anche con il prossimo raccolto. “E’ ancora prematuro fare un bilancio delle semine autunnali, tuttavia la nostra stima è che il grano duro abbia perso un altro 20-30% di superficie, avvicinandosi al milione di ettari. Alle scarse motivazioni degli agricoltori verso la coltura – sottolinea l’AIS – in molte regioni si sono aggiunte in queste ultime settimane abbondanti piogge che hanno impedito di preparare ed entrare nei campi per le semine”.
“Per quanto concerne invece l’attività di moltiplicazione delle sementi, in funzione della successiva campagna – evidenzia Saviotti – è clamoroso il calo prossimo al 50% registrato per le superfici portaseme di grano duro, scese da 170mila nel 2004 a 90mila ettari nel 2005”.

20.2.06

Sementi Ogm: la vendita in Lombardia

E’ da marzo che la Regione Lombardia e la Provincia di Pavia sono al corrente della presenza di campi di mais contaminato da ogm.
(Comunicato n. 5669-n) E’ da marzo che la Regione Lombardia e la Provincia di Pavia sono al corrente della presenza di campi di mais contaminato da ogm. La scoperta è stata effettuata dal nucleo frodi del ministero delle politiche agricole. Da allora non si è mosso alcunché, mentre in Piemonte, dove la scoperta è stata fatta nelle scorse settimane, è iniziata la distruzione, grazie alla decisione della Regione. La situazione nel pavese è preoccupante, perché in questo periodo il mais fiorisce ed emette polline. Le particelle fecondano altre piante nel raggio di un chilometro e mezzo, e possono arrivare fino a quattro. Sono centinaia, quindi, gli ettari a rischio, e decine le aziende agricole il cui raccolto potrebbe risultare con modificazione genetiche. Le aziende agricole, inoltre, devono essere indennizzate per il danno subito dalle multinazionali, che hanno messo in vendita sementi non ogm free, come invece dichiarato sulle confezioni.

14.2.06

Semi di colza e biodiesel

L'olio di colza è l'emblema della possibilità di usare oli vegetali come carburanti per auto. La notizia non è nuova, ma periodicamente si riaccendono le speranze e scattano assalti ai supermercati per fare incetta di olio di semi per la propria vettura.
Il vero biodiesel – Viene prodotto principalmente con olio di colza e di girasole e, come dice il nome, è sicuro e biodegradabile.
Le caratteristiche principali:
- non contiene zolfo (responsabile delle piogge acide)
- rilascia poca anidride carbonica durante la combustione
- è compatibile con il funzionamento e le prestazioni dei motori
- è meno fumoso del gasolio tradizionale
- consente una maggiore efficienza delle marmitte catalitiche.
I sementi vegetali vengono trasformati in biodiesel con una modalità di produzione che arriva a una miscela finale di esteri metilici degli acidi grassi (processo di transesterificazione); per produrre un kg di biodiesel occorrono circa 2,5 kg di semi e un kg di olio. Il rapporto fra le quantità di carburante e di olio di semi è quindi molto vicino all'unità; il processo però costa ed è il rovescio della medaglia dei punti positivi precedentemente espressi: infatti il biodiesel costa il doppio del gasolio. Grazie ad agevolazioni fiscali (limitate però a quantità predeterminate, 300.000 t/anno, finanziaria 2001) che esonerano dall'accisa, il costo può scendere sotto quello del gasolio.
La trovata – Molti automobilisti hanno scoperto che è possibile far funzionare le auto diesel con semplice olio di colza o, al limite, olio di semi vari.
Cosa c'è dietro questa scoperta?
Applicando il banale principio del Ma se… è abbastanza normale ritenerla molto dubbia: ma se basta l'olio di colza, le aziende che producono Biodiesel che chimici hanno? Un mare di complicazioni quando si poteva usare il prodotto iniziale? Evidentemente devono esserci delle difficoltà.
Vediamole.
Si consiglia di mischiare olio di semi e gasolio. Le percentuali variano da un 30-35% d'inverno a un massimo del 60-70% d'estate. Quindi il risparmio è più modesto di quello che si avrebbe con una sostituzione totale. Non va oltre i 20 centesimi per litro. Con una percorrenza media il risparmio arriva a 200 euro all'anno, ma occorre approvvigionarsi di quantità non indifferenti di olio di semi. In altri termini, per risparmiare (forse) 200 euro all'anno spendo un po' del mio tempo a caricarmi lattine di olio di semi in macchina: se usassi quel tempo per lavorare (anche semplicemente tagliando il giardino ai miei vicini di casa) probabilmente guadagnerei la stessa cifra. Morale: la vicenda dell'olio di colza è un esempio di falsa furbizia.
Non tutti i motori accettano bene l'olio di colza (di semi); in diversi casi si hanno danni alla pompa o agli iniettori; tali danni sono documentati nei vari forum sull'argomento da utenti che hanno provato l'innovazione, ma sono dovuti tornare al gasolio.
L'utilizzo di olio di colza fa decadere la garanzia, quindi è abbastanza logico pensare che la casa automobilistica possa comunque far pagare al cliente anche danni non provocati dall'olio di colza. Nell'immagine lo sportello del serbatoio della nuova Skoda "Octavia": il fatto che il gruppo Volkswagen è sempre stato fra i sostenitori del biodiesel dovrebbe far meditare…
L'uso di olio di colza come carburante è illegale perché chi lo fa froda il fisco. Secondo il Testo Unico in materia di accise (1995), qualsiasi prodotto usato come carburante o come additivo deve essere soggetto a tassazione. Su questo punto c'è molta confusione perché molti pensano di essere in regola confondendo l'IVA con l'accisa.
Come si vede il trucco dell'olio di semi è una di quelle scorciatoie che piacciono tanto a chi vuole essere furbo senza fare fatica. La cosa più incredibile è che la sostituzione del gasolio con normale olio di colza è perorata spesso da personaggi vicini all'ecologismo più puro.
Infatti, il punto di fumo di oli di semi di scarsa qualità è molto basso, tant'è che sono sconsigliati per la frittura. Ciò significa che a temperature tutto sommato modeste rilasciano sostanze tossiche. Il principio di lavorazione che partendo dall'olio di colza o di girasole arriva al vero biodiesel serve anche per evitare che ciò accada. Quindi chi usa olio di semi per il proprio motore è sicuramente un inquinatore.
Il futuro – L'impiego e l'espansione del biodiesel (quello vero) è previsto dall'Unione europea che nella direttiva 30/2003 fissa per il 2010 in Italia un consumo di 800.000 tonnellate annue in modo da coprire una quota di circa il 5% del totale dei carburanti. Sicuramente è poco, ma la direzione giusta è la pressione per accelerare e far aumentare questa quota.

9.2.06

Divario delle vendite di sementi fra le sette maggiori multinazionali del settore agrochimico e biotecnologico

Il divario delle vendite di sementi tra le sette maggiori multinazionali del settore agrochimico e biotecnologico si è ristretto nell'anno 2005. La Syngenta ha continuato a mantenere i guadagni più alti: 5.4 miliardi di dollari grazie alla vendita di sementi e pesticidi. Comunque l'acquisto annunciato della Aventis da parte di Bayer potrebbe aumentare i ricavi della Bayer fino a 6 miliardi di dollari per l'anno 2006, togliendo così il primato alla Syngenta.
La BASF, una multinazionale tedesca, ha registrato il più alto incremento delle vendite in percentuale: 39.4%, grazie anche all'acquisto della Cyanamid, una multinazionale americana. Nel 2005 le vendite della BASF in America settentrionale sono cresciute del 65%, in Europa del 45%, in America Latina del 6.5%. La vendita di erbicidi BASF è aumentata del 47.3%, del 27.5% quella dei funghicidi, mentre insetticidi e altri tipi di pesticidi del 53.5%.
La Dow AgroSciences ha registrato un incremento dell'11%, il 9% del quale è attribuito all'acquisto della multinazionale americana Rohm and Haas. La Bayer e la Aventis hanno registrato un aumento stabile delle vendite di sementi e funghicidi in Europa, Nord America e America Latina. I maggiori erbicidi della Bayer (Confidor, Gaucho, Admire e Provado) hanno aumentato le vendite del 5% (pari a 540 milioni di dollari). Le vendite del funghicida Bayer Folicur sono aumentate anch'esse del 5% (pari a 240 milioni di dollari).
Gli erbicidi della Aventis hanno aumentato le vendite dell'8%, gli insetticidi del 7.5%, mentre i funghicidi sono rimasti ai livelli del 2002. I quattro maggiori pesticidi della Aventis coprono il 47% delle vendite nel 2001.
Nonostante abbia mantenuto le vendite più alte in assoluto, la Syngenta (nata dalla fusione di Novartis e AstraZeneca) ha subito il maggior decremento percentuale delle 7 multinazionali. In totale, le vendite di sementi da parte della Syngenta sono diminuite dell'2.1% (le vendite sono state pari a 938 milioni di dollari). Tuttavia la vendita delle sementi geneticamente modificate ha continuato ad aumentare, arrivando a coprire il 17% di tutte le vendite di sementi della multinazionale.
La Monsanto ha subito le perdite maggiori: i guadagni sono diminuiti del 3.3%, mentre la vendita del suo famoso erbicida RoundUp Ready (glifosato) è scesa dell'8% (le vendite hanno totalizzato 2.4 miliardi di dollari). Le vendite del RoundUp sono diminuite soprattutto in America Latina e Asia. Il RoundUp e' usato nelle piantagioni geneticamente modificate resistenti a questo erbicida.

8.2.06

Vendita delle sementi, cosa fare?

Produzione a scopo di vendita di prodotti sementieri

Per poter esercitare la produzione a scopo di vendita di prodotti sementieri si deve avere una apposita licenza rilasciata dal Presidente della Camera di Commercio dove ha sede lo stabilimento. Sono considerati prodotti sementieri le sementi, i tuberi, i bulbi, i rizomi e simili destinati alla riproduzione e moltiplicazione naturale delle piante.
Per chi è
Possono richiedere la licenza gli operatori dotati di attrezzature e locali idonei alla lavorazione delle sementi. Tali requisiti vengono accertati da un'apposita Commissione nominata con decreto dell'Assessore regionale in materia di agricoltura.
Cosa fare

Per ottenere la licenza è necessario presentare all'Ufficio Agricoltura:
• domanda, redatta su apposito modulo (vedi voce allegati), con applicazione di una marca da bollo di euro 14,62
• ricevuta del versamento di euro 3,00 sul c/c n. 8334 della Camera di Commercio di Udine quali diritti di segreteria. Tutta la documentazione viene trasmessa dalla CCIAA ad una Commisione regionale appositamente nominata che esprime un parere sulla documentazione raccolta. Se il parere della Commissione è positivo, viene inviato al Presidente della C.C.I.A.A. Il Presidente della C.C.I.A.A. concede la licenza basandosi sul parere favorevole della Commissione.

2.2.06

Sementi biologici con la natura nel cuore: Agribosco

Dalle valli dell’Eugubino l’esperienza di un consorzio di produttori capace di espandersi in mezza Italia con una ricetta accattivante, che unisce agricoltura biologica, cura del territorio, certificazione dell’intera filiera e rapporto con i consumatori improntato alla massima chiarezza. L’esperienza di AGRIBOSCO si è tradotta in un ampio catalogo di prodotti disponibili nei negozi specializzati e ordinabili anche via internet, con una particolarità unica: la riscoperta e la valorizzazione delle antiche sementi italiane.
C’era una volta il grano. Poi, nel 1944, la Rockfeller Foundation iniziò a sperimentare in Messico quella che nel giro di pochi anni il mondo avrebbe conosciuto come “Rivoluzione verde”. Potrebbe iniziare così la storia del come l’uomo sia riuscito, nel giro di mezzo secolo, a moltiplicare la produttività dei raccolti a forza di iniezioni massicce di fertilizzanti chimici, macchinari pesanti, pesticidi, erbicidi e ibridi, le nuove razze frutto di complicate riproduzioni incrociate per raggiungere in una singola varietà la combinazione di tutte le caratteristiche desiderate. I suoi più convinti fautori attribuiscono alla Rivoluzione Verde il merito di aver salvato dalla fame intere nazioni. I critici, però, ricordano anche altri effetti collaterali: l’inquinamento, il degrado del suolo, lo strapotere delle multinazionali proprietarie delle sementi, l’uso sempre più intenso di energia e la drastica scomparsa di quella biodiversità che per millenni aveva reso il grano di una regione diverso da quello delle altre.Eppure non tutto è stato cancellato, da una strage di cui quasi nessuno parla ma che fa invidia a quella delle specie animali in via d’estinzione. Storie locali ancora resistono tenacemente, a volte grazie all’intelligenza di agricoltori capaci di percorrere strade alternative a quella della grande “rivoluzione”.
Qualche anno fa nelle valli dell’Eugubino, nel cuore dell’Umbria, alcuni agricoltori “controcorrente” si sono imbattuti in due popolazioni di Farro Triticum Dicoccum mai modificate né incrociate dall’uomo. È iniziata così la storia della AGRIBOSCO e del suo progetto “Sementi antiche”, che ha permesso di individuare qualcosa come seicento diverse varietà che sono state poi attentamente studiate per scegliere quelle che meglio si sarebbero prestate a un progetto di semina in campi sperimentali. Oggi, riportate e conservate in purezza, una ventina di quelle varietà rappresentano il tesoro più prezioso della AGRIBOSCO, il Consorzio agrobiologico che ha saputo trasformare i grani antichi da reperto archeologico in risorsa per il territorio e grande strumento di tutela della salute.
“Non è un caso – spiega Marzio Presciutti Cinti, direttore generale della AGRIBOSCO, che proprio a partire dagli anni Cinquanta il mondo occidentale abbia conosciuto un aumento vertiginoso della celiachia e di molte altre intolleranze alimentari. Certamente questo è un indice del deterioramento dell’ambiente in cui viviamo, tuttavia sarebbe riduttivo non considerare anche ad altre cause. Sono in molti infatti a pensare che questi problemi alimentari sono anche il risultato diretto delle modifiche introdotte nel grano per aumentare la produttività delle coltivazioni e migliorare il rendimento delle materie prime nei moderni processi di trasformazione. Portando un esempio concreto, basti pensare che nei grani duri moderni l’indice glutinico – che per dirla in modo semplice è un valore che permette di valutare la tenacità degli impasti di farina – assume sempre valori che partono 50 per arrivare anche a 120. Ebbene, nel Farro Triticum Dicoccum l’indice di glutine difficilmente supera il valore di 12. Questa differenza ha aperto il fianco a numerosi studi in materia di nutrizione che stiamo conducendo in collaborazione con due importanti centri di ricerca di livello nazionale, i quali anche se non ancora conclusi già evidenziano che certe varietà di Farro Triticum Dicoccum posseggono delle interessantissime prospettive”. Forse potrebbe bastare questo a giustificare l’importanza di un progetto scientifico, ma significherebbe trascurare il suo primo risultato pratico: incentivare la sopravvivenza delle aziende agricole in territori marginali e difficili, come le valli dell’Eugubino Gualdese da cui il Consorzio Agribosco è partito per poi estendersi al resto dell’Umbria e pian piano a Lazio, Toscana, Marche, Lombardia e Piemonte. Oggi producono farro, orzo, legumi (fagioli, lenticchie, ceci, cicerchia), mieli, confetture, composte, condimenti mediterranei, con una ricca serie di proposte consultabili e ordinabili dal sito internet del Consorzio, che oggi aggrega una settantina di aziende partecipi di un unico progetto imperniato su poche ma chiare parole d’ordine: agricoltura biologica, cura del territorio, certificazione dell’intera filiera e rapporto con i consumatori improntato alla massima chiarezza. Ben al di là di quel che la legge obbliga a fare.

“Chi compra i nostri cereali e legumi secchi, le nostre farine, i legumi pronti in brodo vegetale, oppure i nostri ottimi piatti pronti a base di farro, non trova codici astrusi in etichetta ma una carta d’identità semplice e diretta. C’è scritto chi ha coltivato il prodotto, dove è stato coltivato e anche per quale quantità. Il tutto garantito dal marchio del nostro Consorzio e nel rispetto dello standard UNI 10939/01 sulla rintracciabilità totale della filiera agroalimentare”.Ma come è possibile garantire senza margini di errore che un vaso di legumi pronti venga proprio da quel singolo produttore e non da uno qualsiasi dei vostri consorziati?“È molto semplice. Ogni singolo carico che arriva dalle nostre aziende viene immagazzinato e quindi lavorato separatamente dagli altri, seguendo un processo di tracciabilità della filiera agroalimentare certificato secondo la norma UNI 10939/01. Consideri che ogni prodotto in ingresso è stoccato in big bags da 10 ql ognuno, così da poter separare puntualmente ogni partita. Questo naturalmente significa che il rapporto con le aziende nasce ben prima del raccolto. “Sì, anzi una delle idee forti che ci hanno guidato in questi anni è stata quella di vincolare le aziende agricole con un contratto in esclusiva che le impegna a utilizzare solo le sementi certificate dalla Agribosco e a rispettare i vincoli di un dettagliato disciplianare di produzione, offrendo loro in cambio la sicurezza di lavorare con un contratto di coltivazione che garantisce la giusta remunerazione delle loro fatiche. È una scommessa coraggiosa, ma che ci ha consentito di creare una base di produttori che condividono i nostri principi e i nostri progetti, garantendo parallelamente la presenza e il lavoro dell’uomo in ambienti che rischiavano di essere abbandonati”. Perché i prodotti a marchio AGRIBOSCO non si incontrano nella grande distribuzione?“. È una scelta voluta e dettata dal desiderio di eliminare tutti quei passaggi intermedi che finiscono per pesare sul prezzo finale del prodotto da agricoltura biologica rendendolo inavvicinabile per molti consumatori. Grazie al nostro progetto abbiamo creato un esempio virtuoso di filiera corta che garantisce ogni passaggio, dalla semina alla trasformazione fino alla distribuzione, permettendo di avere prodotti di alta qualità a prezzi spesso inferiori a quelli a cui siamo abituati. AGRIBOSCO distribuisce direttamente in tutta Italia grazie a una cinquantina di punti vendita specializzati nel biologico. Per chi poi non dovesse trovarli nel proprio negozio di fiducia, i prodotti Agribosco sono facilmente raggiungibile anche via internet grazie al nostro sportello di e-commerce”. Un obiettivo per il 2006?“. Il progetto “Sementi antiche” prosegue, anche con l’obiettivo di individuare le varietà che meglio si confanno alla localizzazione di ogni nostra singola azienda. Ma non meno importante per noi è far comprendere che il biologico deve vivere di un rapporto di fiducia tra produttori e consumatori che quasi sempre vale più della certificazione agli occhi del pubblico. Ecco perché guardiamo oggi con particolare attenzione al mondo dei Gruppi d’acquisto, che condividono la nostra attenzione alla tutela della natura e possono rappresentare uno strumento fondamentale per garantire la sopravvivenza delle aziende. Con un invito a tutti: le nostre porte sono sempre aperte, basta prendere la strada per Gubbio e venire a toccare con mano la bellezza di questo progetto”.